"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 10, maggio 2005 

 


Degas Danza Disegno di Paul Valéry

9.  Love

 


“Ramayana.

Un vecchio saggio, che a furia di diventare vecchio e di diventare saggio ridiventò una scimmia, gli disse: Amare vuol dire non fare tante storie!” (Quaderni, vol. V)

 

Se leggi anche solo il quinto volume dei Quaderni, vedi che per Valéry la libertà coincide – come per Cavalcanti – col controllo, e dunque col potere su di sé. – Rispetto all’amore, qui si leggerà il riconoscimento scandalizzato d’un’impotenza, lo scacco d’una volontà che s’era prefissa obiettivi ardui e astratti e che conosce invece il dolore del desiderio mortale.

 

Come tutti i calunniatori intelligentissimi, Valéry fa facilmente centro. - Anche se, Che disastro, Monsieur Teste!… questa ricerca della lobotomìa sentimentale perfetta, il senza cuore e tutto cervello, come se fosse davvero il Graal dell’esistenza!… 

 

...qui sprofondi in pagine e pagine in cui ci ti contamini con una versione ancora più raggelata di Cartesio geometra dell’universo: tutto l’abnorme mondo dei sentimenti osservato come “res extensa”, stanghette fraudolente di un meccano refrattario! - Insomma: lo stesso tentativo, ma più rigoroso nel – stupendo fallimento! – de l’Amour di Stendhal!

 

Amore: “Il nemico”… “uccidere il nemico dentro di sé” (Ib.)! – Al suo posto mettere “la chiarezza”; o almeno lottare per un amore fraterno alla chiarezza, il che è un bel koan: “Ma è possibile amarsi con chiarezza?”;  e “che cosa ha a che fare il desiderio con la chiarezza?” (Ib.).

 

Il Quinto Volume dei Quaderni è  un disperato campo di battaglia -  il rimuginìo mentale di una sconfitta mai accettata, solo elaborata. - Schopenhauer avrebbe di che sghignazzare in questa Waterloo sconfinata dell’intelligenza surclassata dalla Volontà: “Le passioni si nutrono di cliché”; “L’amore è un’invenzione – come è un’invenzione l’alcol”; “L’amore è una voglia di ricominciare: dunque, niente affatto nobile”; “Può darsi che non ci furono amori, ma malintesi”; “una delle deviazioni nell’inutile che caratterizza l’homo”, ecc…

 

Tutto questo lo trovi, ma raramente, quintessenziato anche negli scritti pubblici. 

Perfettamente, ad esempio, qui: “L’amore arcaico, quale appare nella maggior parte dei miti, manifesta soltanto una «forza della natura», subìta e riconosciuta come tale. Il suo concludersi non è affatto l’esaltazione dell’unione più intima possibile dell’Unico con l’Unica, al di là, attraverso e al di sopra del più vivo e reciproco fremito carnale: è soltanto il puro e semplice choc della voluttà, giacché alla natura serve solo un istante. In un amore del genere, ogni deviazione dal polo del piacere è contro natura” (Varietà).

 

Amore: pare che non esista niente di più adatto per manifestare all’anima quanto sia “stupida”. Ciò che può scrivere queste cose è quanto - appunto - d’un’anima sopravvive a una sua morte essenziale: “Abito in una conchiglia che è stata me” (Quaderni, vol. V), il che ricorda tanto proprio l’automa cavalcantiano dell’uomo colpito da Amore: Io vo come colui ch’è fuor di vita

 

Hybris e donchisciottismo: credere nella mente, e che in lei sia la salvezza! - Come gli adolescenti nel fulgore della loro supponenza, soprattutto qui Valéry pare non conoscere il pudore dei pensieri – ma crede che il loro compito sia tendersi fino al massimo della coerenza e della consequenzialità. - Da ciò piaceri appena narcisisti.

 

 

E infatti scrive, e prova allora a confutare l’amore come se l’amore fosse un’Idea; oppure lo offende, accusandolo di non essere un’Idea… 

Sembra sempre Cavalcanti: quello che resta, quando lamore-dolore dilaga, è la contemplazione attonita di “come si dilegua la coscienza davanti all’incomprensibile” (Ib.).

E invece “ogni sentimento deve essere dominato” (Ib.). – Foss’anche... ma per vendetta Valéry aggiunge che, dove non c’è più controllo non c’è più verità! E questo è un salto, anche al cospetto della più fredda e formale delle logiche.

 

(Arriva a negarne la verità anche quando è disilluso: “L’amore è al livello più grave quando sopravvive alle illusioni” (Ib.)…).

 

 

Valéry ferito d’amore non riconosce la verità indifferenziata e pulsionale del sacro. In particolare di quel sacro primigenio che in Occidente abbiamo attribuito a Dioniso, Eros, Afrodite...

La vendetta contro Eros si perpetua su tutta la linea. Quando Valéry parla direttamente di sesso, descrive coiti ben più repellenti di quelli di Kafka.

 

Però, leggi anche che “essere profondamente amati, è il massimo che ci sia al mondo. Fu questa l’impossibile mira di Dio” (Ib.); e che “Vale di più essere amati che essere compresi. Giacché non si è mai compresi bene, mentre si può essere amati. Se ne vuoi una prova, pensa a Dio. Si è premunito dall’essere compreso, ha orrore che qualcuno abbia questo progetto. Lo maledice, lo colpisce… ma chiede che lo si ami. E’ una lezione per tutti” (Ib.).

 

Meraviglioso, infine, questo atollo di pace, nel cuore del ciclone, nel centro vuoto e silente di ogni possibile cosa:

 

“Nel pieno della collera folle, passa un raggio di me ne infischio. Al cospetto di Dio, nel più alto dei cieli, c’è un desiderio di fumare, una voglia di dormire in pace, un gusto delle cose, che è libertà”  (Ib.).

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Per controcanto, vedi la costellazione su Goethe.


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