"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12  settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 22. Sperma & spettri

 

 

 

 


Regina: A chi dite voi questo?

Amleto: Non vedete niente, là?

Regina: Proprio niente; eppure vedo tutto quello che c’è.

Amleto: Né avete udito niente?

Regina: No, niente, fuori di noi stessi.

Amleto: Ebbene, guardate là, guardate come s’allontana …

(Atto III, sc. 4)

 

«e recita la parte della mamma: baciami, sii buona»

(Sonetto 143, v. 12)

 

 

 

Gertrude? Sperma!

E sta parlando alla sua mamma del suo per altro religioso matrimonio: «Nel sudore e nel puzzo di un letto unto macchiato di seme (enseamed), e marcire nel vizio, fare le moine, e l’amore»... -  il ben più misurato Spettro non fa a tempo a svanire che lui: «Astieniti stanotte« (Atto III, sc. 4).

 

  

«Perché la madre non possa vedere il fantasma è una questione che non so risolvere.

Nel primo atto, dei soldati qualsiasi potevano vederlo, eppure ciò dovrebbe essere riservato a nature raffinatissime. L’incapacità della madre di percepire la visione non è affatto una pecca della sua indole sensuale; forse, Shakespeare intende solo che il marito defunto vuole risparmiarle l’orrore e dare ad Amleto giusto un’intimazione. Può anche darsi che abbia usato questo artificio per motivare ciò che dice la madre: che la visione di Amleto è la prova della sua follia; al che Amleto dimostra il contrario e rivela la sua dissimulazione, che tuttavia le chiede di non svelare al re.»

(A. Strindberg, Amleto e Faust, Milano 1988)

  

 

 Un passo indietro.

«Regina: Avete dimenticato chi sono? - Amleto: Per la croce, no: la moglie del fratello di vostro marito e siete, così non fosse, mia madre. – Regina: Allora io vi metterò di fronte a tali che sappian parlare.» Figurarsi se Amleto s’impaurisce: «…voi non ve ne andrete finché io non vi metterò dinanzi uno specchio in cui voi possiate vedere la più segreta parte di voi stessa.» - Geniale equivoco della Regina «Che vuoi tu fare? Tu non vuoi mica assassinarmi? Aiuto, aiuto, oh!» (Atto III, sc. 4). – E’ qui Polonio, facendo eco con tre «Aiuto!», si frega.

 

Con perfetta reazione da seduta di psicoanalisi, dov’è inevitabile sulle prime resistere al transfert, Gertrude sente dunque la minaccia del figlio onnisciente e linguacciuto, e vede, nella imbarazzantissima possibilità che proprio il sangue del sangue suo gli faccia da specchio delle sue brame, qualcosa di pestifero come la morte. – Perché sapersi è morire ed evitare il conosci te stesso dell’Oracolo di Delfo è sano come star lontani dalla stricnina.

 

«Regina: Tu rivolgi i miei occhi stessi al fondo dell’anima mia ed io vi scorgo macchie così nere e tenaci che vi lasciano la loro tinta» (Ibid.). Ma è tutto molto complicato: Amleto, infatti, invece di chiedere quali macchie (non ha messo lui in scena nella Trappola per topi una regina uxoricida?) dà per scontato che tutto il suo male si riduca al sesso sfrenato che, nella sua ossessa fantasia, concede al patrigno. La mamma esausta urla l’ennesimo «Basta!». Qui appare lo Spettro, la famiglia Amleto è finalmente al completo. Il paterno fantasma sa il fatto suo: che il «figlio poltrone» faccia il dover suo contro Claudio e la sci in pace la madre: «Spettro: Ma guarda, tua madre è sconvolta» (Ibid.).

 

Amleto dunque ha finora disobbedito al padre due volte: non ha ucciso Claudio e in compenso tormenta la madre che va «lasciata al Cielo» (Atto I, sc. 2). – Lo Spettro però – vedi su il rompicapo di Strindberg – resta invisibile alla madre, lasciandole credere che Amleto jr. parli alle ombre e che dunque sia pazzo: altro segno che lo vuole morto col suo assassino?

 

Svanito uno Spettro, in fondo rassegnato che il matrimonio sia la prima causa degli uxoricidi, benché svuotato, il figlio non molla la presa: «Non andate a letto con mio zio; simulate una virtù, se non l’avete» (Ibid.), e con esauste finezze gesuitiche si slancia nella lode della virtù solo simulata, lui che non conosceva «sembra» (Atto I, sc. 2). Quindi va via, trascinandosi – lunga stria di sangue - «il budellame» di Polonio.


 

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